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a cura di Rosa Gramegna

Un immobile è in comproprietà tra più soggetti: Tizio, Caio, Mevio.
Tizio stipula un contratto di locazione con Sempronio e provvede all'incasso dei canoni.
Da tale rapporto scaturiscono alcune domande:
1) in che rapporto è Sempronio con Caio e Mevio?
2) Mevio e Caio possono richiedere a Sempronio il pagamento del canone pro quota?
3) che qualificazione giuridica si può attribuire al rapporto che intercorre tra comproprietario – locatore e comproprietario non locatore?
4) che conseguenze ci sono tra quest'ultimo e il conduttore?
Per comprendere nel migliore dei modi la soluzione proposta dalle Sezioni Unite ai quesiti, occorre procedere per gradi, analizzando i diversi orientamenti esistenti in giurisprudenza.
Un primo orientamento qualifica il rapporto in questione in termini di mandato senza rappresentanza: il proprietario sottoscrittore è visto come mandatario dell’altro -o degli altricomproprietari:
"Il proprietario di un immobile locato ad un terzo da un mandatario senza rappresentanza può, nel revocare il mandato e sostituendosi al mandatario, esercitare ex art. 1705 cod. civ., comma 2, ogni diritto di credito derivante dal rapporto obbligatorio posto in essere e,
quindi, anche il diritto di ricevere il pagamento dei canoni dal conduttore e legittimamente può, altresì, agire in giudizio a tutela dei diritti stessi” (Cass. n. 4587 del 1995).
Di conseguenza, il conduttore, sebbene adempiente al pagamento del canone, rimarrà esposto all’alea di eventuali future richieste da parte dei comproprietari non firmatari del contrtatto, di cui, peraltro, potrebbe anche ignorare l’esistenza (e a fronte di ciò egli -alla richiesta di pagamento- ben potrebbe opporre l’intervenuto adempimento a mani del sottoscrittore, facendo così leva sulla solidarietà attiva dei creditori); mentre non potrà rivolgersi al comproprietario non contraente per
pretendere l’adempimento degli obblighi tipici del locatore, non essendo questi parte contrattuale e, pertanto, svincolato dallo stesso, ex art. 1372 c.c.
Un secondo orientamento colloca la fattispecie all’interno degli atti di ordinaria amministrazione validamente compiuti da uno dei comunisti nell’interesse proprio e, contestualamente, degli altri comproprietari in virtù del cd. mandato presunto o tacito, cioè di quel mandato che si ha quando, in relazione a un atto di ordinaria amministrazione compiuto da uno dei comunisti, gli altri mantengano un comportamento passivo da cui possa presumersi l’esistenza del consenso rispetto all’atto compiuto. Neppure il ricorso alla figura del mandato tacito, però, soddisfa, in quanto, nell'ipotesi, molto frequente, di locazione stipulata da uno dei comunisti all'insaputa degli altri, non v’è alcuna possibilità d’identificare con precisione la condotta concludente di questi ultimi al fine di consentirne la stipula. Tale orientamento muove dal fatto noto, rappresentato dalla stipulazione del contratto da parte di uno solo dei comproprietari, per risalire, quale conseguenza ragionevolmente
possibile, secondo un criterio di normalità, al fatto ignoto, costituito dall’esistenza di un mandato tacito conferito dagli altri comproprietari. Orbene, simile presunzione non appare adeguatamente
motivata, atteso che la stessa è destinata a operare in presenza di una norma che per gli atti di ordinaria amministrazione, tra i quali rientra, appunto, la stipula di un contratto di locazione della cosa comune, richiede una deliberazione dei partecipanti alla comunione e, quindi, una manifestazione espressa di volontà.
Un terzo orientamento individua come voluta la locazione della cosa comune stipulata da uno solo dei comproprietari, facendone derivare gli effetti anche se il locatore abbia violato i limiti dei poteri spettantigli ex artt. 1105 e ss. cod. civ., senza che agli altri comunisti, che gli hanno lasciato la completa disponibilità della cosa, possa competere azione di rilascio o di rivendica nei confronti del conduttore, il quale, di conserva, resta obbligato all’esecuzione del contratto e al pagamento del canone fino alla riconsegna del bene al (comproprietario) locatore e non può derogarvi in ragione della successiva opposizione degli altri comproprietari; configurando questa una molestia di diritto di cui dare comunicazione al locatore ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 1585 e 1586 cod. civ.. Ai comproprietari non locatori spetterà, quindi, soltanto, il risarcimento del danno.
Tale indirizzo tuttavia è “radicale”, raffigurando i comproprietari non contraenti come del tutto estranei al vincolo contrattuale e il contraente come mero gestore d’affari altrui e non come un mandatario.
Ebbene, l’intervento solutore delle Sezioni Unite (con sentenza del 4.7.2012 n. 11136) predilige la “via media”, denominata “quarta via”, qualificando la fattispecie in esame in termini di Gestione di affari altrui (art. 2028 c.c.), “consentendo tale disciplina di offrire una soluzione che valga a contemperare gli interessi e le posizioni dei vari soggetti coinvolti”. L’elemento caratterizzante la gestione d’affari – stabilisce la Cassazione- è il compimento di atti giuridici spontaneo e utile nell'interesse altrui, in assenza di un obbligo legale o convenzionale di cooperazione; a tal fine, si richiede innanzitutto l'absentia domini, da intendersi non già come impossibilità oggettiva e soggettiva di curare i propri interessi, bensì come semplice mancanza di un rapporto giuridico in forza del quale il gestore sia tenuto a intervenire nella sfera giuridica altrui, cioè quale forma di spontaneo intervento, senza opposizione e/o divieto del dominus stesso; requisito, peraltro, ritenuto non sufficiente ai fini della configurabilità della gestione di affari, occorrendo, altresì, l'utilità stessa della gestione (cd utiliter coeptum), “la quale sussiste quando sia stata esplicata un'attività che, producendo un incremento patrimoniale o risolvendosi in un'evitata diminuzione patrimoniale,
sarebbe stata esercitata dallo stesso interessato quale buon padre di famiglia se avesse dovuto provvedere efficacemente da sè alla gestione dell'affare" (Cass. n. 12280 del 2007; con particolare riferimento all’absentia domini, Cass. n. 12304 del 2011). La S.C. si è già espressa in tema, sancendo che “la gestione di affari consiste nel compimento di atti giuridici spontaneamente ed utilmente posti in essere dal gestore nell'altrui interesse in assenza di ogni rapporto contrattuale in forza del quale il gestore sia tenuto ad intervenire nella sfera giuridica altrui” (Cass. n. 4623 del 2001; Cass. n. 18626 del 2003). Di qui si deduce che gli elementi della gestione d'affari sono l'animus aliena negotia gerendi; l'utilità della gestione; la impossibilità dell'interessato di svolgere l'affare o, comunque, la mancanza della prohibitio domini; l'esistenza dell'interesse altrui alla gestione. Ne derivano le conseguenti conclusioni: 
• Il contratto sottoscritto tra il solo comproprietario locatore e il conduttore è di per sé valido ed efficace, rilevando l'opposizione del comproprietario non locatore soltanto nel caso in cui venga manifestata e portata a conoscenza del conduttore prima della stipula del contratto stesso (art. 2031 c.c., comma 2), sicchè, come si è appena osservato, il conduttore è posto al riparo da sopravvenuti contrasti che dovessero insorgere tra i comproprietari in ordine alla gestione del bene comune.
• Il comproprietario non locatore, ove sia a conoscenza della intenzione del gestore di addivenire a una locazione del bene comune, può manifestare preventivamente il proprio dissenso, il che lo esonererà, ex art. 2031 c.c., comma 2, dal dovere di adempiere le obbligazioni che il gestore abbia assunto (anche in nome proprio), e di rimborsargli le spese sostenute. Il comproprietario non locatore, inoltre, ai sensi dell'art. 2032 cod. civ., - e questo è l'aspetto che maggiormente rileva ai fini della soluzione del caso di specie-, conserva la facoltà di ratificare il contratto stipulato dal comproprietario locatore; e proprio l'esercizio di tale potere comporta il prodursi di effetti che sarebbero derivati da un mandato, anche se la gestione è stata compiuta da un soggetto che credeva di gestire un affare proprio.
Nella giurisprudenza della S.Corte è stato ripetutamente deciso che “ai sensi degli artt. 2031 e 2032 cod. civ., la gestione di affari, che non abbia comportato la spendita del nome del dominus, può produrre, ancorchè ratificata, effetti nei rapporti fra il dominus ed il gestore, ma non può in alcun caso valere a far subentrare il primo nel rapporto negoziale che il secondo abbia instaurato in nome proprio con il terzo” (Cass. n. 3479 de 1978; Cass. n. 11637 del 1991; Cass. n. 12102 del
2003) e che, proprio sulla scorta dell’affermato principio, “il contratto che il comproprietario di un immobile abbia stipulato nell'asserita qualità di proprietario esclusivo è inidoneo a produrre effetti diretti nei rapporti fra gli altri comproprietari ed il terzo contraente, in quanto nella gestione di affari non rappresentativa la ratifica non fa subentrare il dominus in luogo del gestore nel rapporto costituito da quest'ultimo in nome proprio con i terzi e i soggetti del rapporto restano quelli originari” (Cass. n. 3479 de 1978 cit.). Sempre secondo il visto indirizzo, si è affermato, con riguardo a un fabbricato appartenente per porzioni distinte a due proprietari, che “il  comportamento dell'uno, consistente nel concedere in locazione l'intero immobile e nel provvedere a riscuoterne il canone, è qualificabile come negotiorum gestio di tipo rappresentativo, secondo la previsione degli artt. 2028 e segg. cod. civ., fino a quando il secondo non manifesti, espressamente o tacitamente, il divieto a che altri si ingerisca nel proprio affare, con la conseguenza che, ove intervenga tale divieto, deve riconoscersi a detto secondo proprietario, divenuto anch'egli locatore e creditore del
canone (per la parte di sua spettanza) per effetto di quella gestione, il diritto di ottenere direttamente dal locatario il pagamento della quota del canone medesimo, tenendo conto che fra più creditori di una prestazione divisibile non si presume il vincolo di solidarietà” (Cass. n. 3143 del 1984).
La questione posta è stata dunque risolta dalle Sezioni Unite nel senso che “La locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell'ambito di applicazione della gestione di affari ed è soggetta alle regole di tale istituto, tra le quali quella di cui all'art. 2032 cod. civ., sicchè, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore potrà ratificare l'operato del gestore e, ai sensi dell'art. 1705 c.c., comma 2, applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nel citato art. 2032 cod. civ., esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni corrispondente alla quota di proprietà indivisa”.
Ne deriva che colui nella cui sfera giuridica il terzo interviene si trova a godere degli effetti benefici di tale “azione” anche a fronte della sua mera inerzia.
Appare perciò corretto concludere nel senso che il sottoscrittore del contratto di locazione agisce anche nell’interesse altrui pur spendendo il proprio nome, ponendo così in essere sempre e solo una gestione d’affari non rappresentativa. 


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