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  Ancora sul danno non patrimoniale – La Corte “si evolve”

Cass. III^, 23.03.2018 n. 7260.

Partendo dall’ormai solito caso di “responsabilità professionale” in ambito medico, la SC questa volta pare che abbia preso un sentiero fortemente “evolutivo”, se non, addirittura, “spirituale”.

La Corte Suprema, infatti, approfittando della discussione circa un preteso “difetto di allegazione” processuale da parte attrice, in realtà insussistente, parrebbe spingersi al di là …e coglie l’occasione per fissare un principio dai connotati più “spirituali” che materiali, sulla scorta dei fondamenti ex art. 2-13-32 Cost..

Nella fattispecie in esame, la Cassazione rimprovera al medico non tanto un errore o di non avere impedito al paziente l’evento (ineludibile) letale (il decesso), ma di avere con quell’errore/ritardo celato al paziente lo stato esistente della grave patologia…Ciò che –continua la SC- impedisce la presa di coscienza del paziente già sofferente, cioè la piena consapevolezza delle sue reali condizioni di salute; una condotta, quindi, di per sé lesiva del diritto di autodeterminazione del paziente-uomo, tale da non consentirgli, da un lato di “provare”, in qualsiasi modo, ad allungarsi la vita, anche in termini qualitativi e, dall’altro, di operare “scelte” consapevoli per il periodo di vita residua.

La nuova sensibilità manifestata dalla SC conduce a “bacchettare” i Giudici di appello, rei di non avere compreso il vero thema decidendi e cioè la risarcibilità del danno da “perdita” di un bene effettivo, sostanzialmente inquadrabile nella “scelta di vita”, quale conseguenza diretta della violazione del diritto costituzionalmente protetto di libera determinazione nella scelta esistenziale in condizione di patologia con esito certamente infausto  (non della semplice “chance”). E ciò al di là di ogni considerazione circa la scelta personale, compiuta o ancora da compiersi, e indipendentemente dal valore soggettivo attribuibile al contenuto di queste scelte.

Una statuizione condivisibile, questa, che, distaccandosi dal freddo noto criterio risarcitorio economico-patrimoniale del danno alla salute, sembra ricollegare al principio umano materiale di “diritto” quello più evoluto, del piano spirituale.

Connessione che sembra che accompagni tutto l’iter decisionale dei Giudici della SC, fino a “elevarli” a ritenere che soltanto il cosciente determinarsi ad accelerare le strategie terapeutiche o a ricercarne di nuove, anche palliative o, nel peggiore dei casi, ad accettare la sofferenza e il dolore fisico e accogliere la fine che si annuncia imminente rende il paziente davvero “libero” e attivo, non costretto a subire con angoscia i “segni misteriosi” e ineluttabili del Destino.

E una volta aperta, la porta pare che non si richiuda: così si stabilisce anche che la compromissione di quella “libertà” soggettiva –rendendo la giusta dignità all’essere umano- è di “immediata comprensione” laddove risulti che nel paziente la “illecita ignoranza” della patologia sia stata indotta dalla colpevole condotta del sanitario.

Ne deriva, sotto il profilo processuale, che l’accertamento della colpevole errata/tardiva diagnosi di una patologia a esito certamente infausto implica di per sé tutela e risarcibilità ad aequitatem, senza la necessità di alcun ulteriore onere probatorio o di allegazione.

Avv. Alberto Senigaglia

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